Lukashenko: «La rivolta di Wagner è un dono all’Occidente, una provocazione davanti alla quale non possiamo restare indifferenti, saremo la voce della ragione in tempi così difficili…»

Lukashenko: «La rivolta di Wagner è un dono all’Occidente, una provocazione davanti alla quale non possiamo restare indifferenti, saremo la voce della ragione in tempi così difficili…»

«Un ambasciatore a Minsk? Abbiamo ancora un ambasciatore a Minsk?». La feluca se l’è tolta da un pezzo: il plenipotenziario ucraino in Bielorussia, Igor Kizim, 61 anni, una lunga carriera che lo vide servire dal Canada alla Francia, da mesi è stato richiamato in patria e indossa pure lui la mimetica militare. E porta generatori al fronte, saluti ai soldati, fiori sulle tombe. Eppure, la carica d’ambasciatore l’ha tenuta fino a giovedì scorso: incredibilmente, in questi 500 giorni di guerra, il governo di Kiev non ha mai voluto ritirarlo. Né rompere del tutto le relazioni diplomatiche col dittatore bielorusso. «Abbiamo ancora un ambasciatore a Minsk?».

Nessuno in Ucraina se n’era più curato. Un diplomatico lasciato a mantenere rapporti col nido delle atomiche di Putin. Delle truppe con la «Z» pronte all’invasione. Nel Paese più ostile all’Ucraina, dopo la Russia. Giovedì scorso, due giorni prima della marcia su Mosca, forse presagendo qualcosa, il presidente Volodymyr Zelensky è sbottato e ha detto basta: sua eccellenza Igor Kizim è stato licenziato.

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